Esce da tutto, l’Inter di Conte, persino dall’Europa League. Lo 0-0 con lo Shakhtar incarna lo spirito del tempo. Per carità , la traversa di Lau-toro e le parate di Trubin, ma quando su sei partite ne vinci una, ritardi i cambi e regali a Eriksen i soliti spiccioli di riveriana memoria, hai poco da ribellarti al destino. Lo schema-Lukaku non ha funzionato, questa volta. Anzi: come nella finale di Europa League contro il Siviglia, quando fallì il 3-2 e firmò l’autorete del 2-3, una sua «parata», in fuorigioco, ha cancellato un possibile gol di Sanchez. Corsi e ricorsi.
Uno smacco matto senza precedenti. Ha attaccato, l’Inter, per dovere, quasi mai per piacere, dettaglio che si avvertiva nell’aria e nell’area. I palleggiatori di Donetsk, brasiliani in cerca di una scrittura, si sono messi lì: e solo nella ripresa hanno alzato il capino e azzardato (con Taison, con Solomon) qualche balletto. La difesa a tre non ha aiutato Conte se non a proiettare campanili (con Bastoni). I blitz di Barella, le volate di Hakimi, il pennello sdrucito di Brozovic: piccole iniziative che mai hanno fatto una forza vera, una qualità alternativa alle emergenze, alle esigenze.
L’Europa, per Conte, non è mai stata una fissa. La specialità rimane il campionato. Al quale potrà dedicarsi anima e corpo. E, a dodici milioni netti all’anno, guai se non lo vince. I bar sport e le edicole temevano che Real e Borussia, al chiuso della premiata pasticceria di Valdebebas, facessero un bel biscotto. Tutti attorno al forno, allora: doppietta di Benzema nel giro di mezz’ora, pali, fulmini, traverse, Real primo, tedeschi secondi. Le scommesse di un gol dell’Inter al 90’ o giù di lì crepitavano. Proprio per questo era diventata la «pazza» Inter. L’unico biscotto resta, per ora, l’esame perugino di Suarez. Coraggio.